Se cercate di ricordare cosa vi dicevano da piccoli le maestre, vi ricorderete che gli alberi di giorno rilasciano ossigeno e di notte rilasciano anidride carbonica, e che se si tagliavano le foreste non era una cosa bella. Crescendo questa consapevolezza è stata in larga parte portata nei meandri dei ricordi ed è riaffiorata con le prime notizie dei cambiamenti climatici dovuti all’altissima concentrazione in atmosfera di CO2, praticamente il 145% in più rispetto all’era preindustriale. Tra un po’ saremo costretti a comprare l’ossigeno al supermercato.
Qualche giorno fa è stato pubblicato uno studio nel quale gli scienziati dimostrano che le foglie degli alberi stanno diventando più spesse. Il fenomeno non ha una spiegazione univoca, ma gli scienziati sono concordi nel dire che la capacità dei giganti verdi di sequestrare il carbonio sta diminuendo:
La vegetazione modifica il clima terrestre controllando i flussi di energia, carbonio e acqua. Di fondamentale importanza è una migliore comprensione di come le risposte della vegetazione ai cambiamenti climatici forniranno feedback sul clima. Le osservazioni mostrano che le caratteristiche della pianta rispondono ad elevate concentrazioni di anidride carbonica. Queste acclimatazioni dei tratti vegetali possono alterare l’area fogliare e, quindi, la produttività e i flussi di energia superficiale. Tuttavia, gli impatti climatici delle caratteristiche dei tratti strutturali delle piante rimangono da testare e quantificare. Qui mostriamo che l’acclimatazione di una foglia in risposta all’aumento del biossido di carbonio – un aumento di un terzo della massa fogliare per area – ha un impatto significativo sul ciclo climatico e sul ciclo del carbonio negli esperimenti sul modello del sistema terrestre. La produttività primaria netta globale diminuisce (-5,8 PgC / anno, intervallo di confidenza del 95% [CI95%] -5,5 a -6,0), che rappresenta un diminuito quantitativo di anidride carbonica di entità simile alle attuali emissioni annue di combustibili fossili (8 PgC / anno). Un ulteriore riscaldamento anomalo del terreno (+ 0,3 ° C globalmente, CI95% da 0,2 a 0,4), in particolare degli extratropici settentrionali (+0,4 ° C, CI95% da 0,2 a 0,5), deriva da una ridotta evapotraspirazione e da un maggiore assorbimento della radiazione solare in superficie. L’acclimatazione delle caratteristiche fogliari diminuisce la produttività e l’evapotraspirazione riducendo la crescita dell’area fogliare in risposta all’elevato biossido di carbonio, poiché un terzo aumento della massa fogliare per area aumenta il costo della costruzione dell’area fogliare e la produttività non riesce a compensare completamente. I nostri risultati suggeriscono che le acclimatazioni dei tratti vegetali, come la variazione della massa fogliare per area, dovrebbero essere considerate nelle proiezioni climatiche e fornire una motivazione aggiuntiva per esperimenti ecologici e fisiologici che determinano le risposte delle piante all’ambiente.
Le piante si stanno acclimatando, ovvero, si stanno adattando ai cambiamenti, esercitando una forma di resilienza. Mutano, per sopravvivere, cambiano qualcosa un po’ alla volta. Il cambiamento delle piante però non è una cosa che avviene una mattina, non è una cosa che accade con gli umani. Non possiamo mica immaginare che una mattina una quercia si svegli e si renda conto che la capacità della propria clorofilla di esercitare la fotosintesi non è più sufficiente e quindi si consulta con le altre querce del bosco e decida di ingrossare le foglie. I cambiamenti avvengono quasi per specie e in determinate condizioni, così come l’evoluzione. Si chiama natura. L’uomo, però, che ha sviluppato una propria simpatica e vivace intelligenza, e ha creato la cultura, le quali leggi sono sicuramente più determinanti in termini di scelte, rispetto a quelle della natura. Se così non fosse, non sarebbe spiegabile come mai intorno al Vesuvio insiste una popolazione di un paio di milioni di persone. Per adattarsi ad un cambiamento naturale è necessario un cambiamento culturale. Ma non basta, perchè ora ci troviamo nella fase in cui per impedire un cambiamento naturale è necessario un cambiamento culturale. Ma di massa. Del tipo della scrittura. Solo che non possiamo aspettare che tutti si convincano. Bisogna cambiare e basta, e forse per questo motivo servirà mettere in discussione alcune verità che sembravano “naturali” e che forse non lo sono.
A questo punto, se dovessimo accettare che tutti, da lunedì prossimo, smettessimo di mangiare carne tutti i giorni, ma accettassimo di consumarla al massimo una volta al mese, quale sarebbe il compito delle città? E quale quello delle imprese? O meglio, in termini di resilienza, quali strategie dovranno adottare le imprese per subire il meno possibile i cambiamenti o, eventualmente, aiutare a combatterli? La scelta è dirimente, perché implica la definizione di strategie aziendali radicalmente opposte.
Da che parte state?